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lunedì 11 novembre 2013

La favola meravigliosamente triste del nostro sindaco De Blasio


11 novembre 2013

italy




La storia del nuovo sindaco di New York, Bill De Blasio, mi riempie d'orgoglio. Come Italiano, come democratico e come meridionale. Bill è un italo-americano che è partito dal basso, da Brooklyn, e ha sempre lottato per i diritti civili; figlio di una emigrante, originaria di un piccolo paesino del Sannio, Sant'Agata de' Goti. La storia della sua famiglia dimostra che, in un un Paese che riconosce i tuoi meriti, non importa da quale profondo Sud o classe sociale o etnia tu provenga, se vali, puoi farcela.
Sono felice e orgoglioso ma anche amareggiato. Amareggiato perché resta il fatto che la madre di De Blasio è dovuta emigrare per cercare fortuna all'estero. Se fosse rimasta in Italia, con tutta probabilità, non avrebbe potuto costruire per Bill un futuro così brillante. Perché, come donna povera del Sud, non avrebbe mai avuto la possibilità di mettere a frutto i talenti del figlio.
Bill, nato in Italia, sarebbe stato un disoccupato o tutt'al più un semplice avvocato di qualche cooperativa sociale che opera nel settore dei diritti civili; senza un soldo o in attesa perenne di ricevere quei fondi che, in Italia, nel privato sociale, non arrivano mai.
Bill non appartiene ai circoli che contano: agli amici degli amici, alle lobby, alla "New York bene". Non è parte di quella aristocrazia che in America chiamano Wasp, i bianchi protestanti di origine britannica. Bill ha sposato un'altra attivista dei diritti civili, proveniente da una minoranza ancora più svantaggiata: gli africani-americani. Eppure, insieme, perché valgono, ce l'hanno fatta. Mi amareggia pensare che, in Italia, la moglie di Bill non avrebbe avuto neppure la cittadinanza.
La famiglia De Blasio non sarebbe mai nata e non sarebbero mai nati i figli Dante e Chiara, i veri artefici della campagna elettorale del padre. Dante e Chiara sono i maghi del web che, tramite Facebook e Twitter, hanno conquistato al padre tanti "follower" che sono diventate sonanti preferenze elettorali. Mi domando: quando, anche in Italia, potrà diventare sindaco il figlio di un migrante?
Ecco, mi amareggia che quello che si può fare in America, non lo possano fare, in Italia, neanche gli italiani. Per questo, è tempo di costruire veramente un Paese democratico, plurale e solidale. Un Paese che permetta a tutti di prendere l'ascensore sociale, non importa chi conosci o "a chi appartieni". Un Paese che ti premi per le tue competenze e non per le tue conoscenze. Che tu sia bianco, nero, giallo o terùn. Un Paese che dia la chance a tutti, donne e uomini, ragazzi e ragazze, ma che non si dimentichi degli anziani.Il nostro Bill ancora deve arrivare. Ma il Partito democratico che ho in mente può essere lo strumento per costruire oggi, insieme, questo futuro di opportunità.

Gianni Pittella


Fonte : www.huffingtonpost.it

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