ASSOCIAZIONE CULTURALE MERIDIONALISTA - PROGRESSISTA

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domenica 26 gennaio 2014

Che malacreanza!


di Angelo D’Ambra

Il PIL procapite degli ultimi dieci anni al Nord è quasi il doppio di quello del Sud con Campania, Sicilia e Calabria sotto la media del Mezzogiorno stesso 1.
Il Nord continua ad accumulare ricchezza e ciò non ci stupisce. Se è ovvio che l’industrializzazione non possa interessare al contempo tutte le aree di un territorio, è altresì vero che lo sviluppo è sempre di carattere cumulativo cioè che le regioni industrializzate attraggono forza lavoro e capitale da quelle non industrializzate. Non è vero, asseriamo, che l’industrializzazione ad un certo punto si diffonda ad effetto riverbero dove i salari sono più bassi fino a riequilibrare i rapporti regionali.
In centocinquanta anni il reddito procapite in Italia è aumentato di 13 volte. Al Sud l’aumento è stato di 9 volte rispetto al 1861, al Nord di 15 volte. Il dato per essere compreso a fondo necessita però di una precisazione: le due parti del Paese partivano da condizioni economiche analoghe. Ancora nel 1891 il prodotto procapite della Campania era superiore a quello del Piemonte, del Veneto, dell’Emilia e appena inferiore a quello della Lombardia e della Liguria. Discorso identico per la Puglia, mentre Calabria e Abruzzi risultano in effetti al disotto della media nazionale raggiunta invece da Sicilia e Basilicata2. Ciò si rifletteva del resto nella “superiorità numerica dell’emigrazione settentrionale”3.
Il primato del Nord divenne netto nel 1911, anno in cui solo la Campania ha un prodotto procapite prossimo a quello medio italiano. Questo divario nasce proprio come conseguenza della riallocazione dei fattori di produzione, di manifatture e attività commerciali determinata dalla spesa pubblica concentrata al Nord 4, dal corso forzoso dei biglietti della Banca Nazionale e dalla politica protezionistica inaugurata coi governi Depretis 5.
In tutti i Paesi dell’OCSE coi divari regionali più ampi (ovvero Messico, Turchia, Italia, Belgio, Grecia, Slovacchia, Repubblica Ceca e Ungheria) la struttura capitalistica nazionale si concentra sulla polarizzazione della distribuzione del reddito procapite nella regione più ricca. La cosa che sorprende è che in Italia il divario tra le due aree Nord e Sud è il doppio rispetto ai divari interni di Germania, Spagna, Giappone e Regno unito che sono a noi simili per livello medio di Pil procapite6. L’essenza del capitalismo italiano si fonda cioè interamente su la robustezza del divario regionale, in altri termini sulla spoliazione del Sud come logica di mercato. Che malacreanza!

Fonte : www.eleaml.org

martedì 17 dicembre 2013

“Io non sono povero, sono sobrio. Quindi felice”


La sobrietà è merce rara, soprattutto nei politici e negli uomini di governo. L’ex tupamaro Josè Alberto Mujica Cordano, per tutti oggi Pepe Mujica, ci tiene a sottolinearlo: “Io non sono povero, sono sobrio”. E lui, oggi, è il presidente dell’Uruguay.

Mujica è un lucidissimo ottantenne che è stato eletto Presidente dell’Uruguay e che ha rinunciato agli appannaggi del suo status vivendo con cinquecento dollari o giù di lì in una casetta di due stanze; si sposta con un vecchio Maggiolino Volkswagen. Quando parla all’ONU o nei congressi internazionali, senza nessuna enfasi ma con un vigore che ammutolisce l’uditorio, ripete instancabile cose già note ma dando alla sua voce una vibrazione profetica: anno dopo anno stiamo intaccando, divorando il futuro delle giovani generazioni, le pubblicità di tutto il mondo reclamizzano stili di vita che ci porteranno al disastro inevitabile. Stili di vita che già ora, ove potessero imporsi globalmente, presupporrebbero non un solo pianeta ma tre! E dunque il modello propagandato, agognato è di una colossale falsità, un imbroglio planetario. Gli altri capi di Stato non fiatano quando don Pepe si rivolge a loro. Soffrono e non vedono l’ora di ritornare alle loro alchimie, alle convergenze parallele….
Ma puntualmente, cioè al convegno successivo, Mujica scompagina quei loro discorsi, ridicolizza cifre utopiche spacciate come verità sacrosante, ma il tutto con toni dimessi, senza astio.
Ha detto nei suoi discorsi più famosi, primo fra tutti quello davanti alla platea dell'Onu: “Si parla di sviluppo sostenibile, ma che cosa ci frulla in testa? Il modello di sviluppo e di consumo è quello attuale delle società ricche? Di nuovo mi sono chiesto cosa succederebbe a questo pianeta se gli indiani avessero lo stesso numero di auto per famiglia che hanno i tedeschi. Quanto ossigeno ci resterebbe da respirare? Il mondo ha forse oggi risorse sufficienti per far sì che 7-8 miliardi di persone possano avere lo stesso livello di consumo e spreco che hanno le più opulente società occidentali? O dovremo forse fare un altro tipo di ragionamento? Abbiamo creato una civiltà figlia del mercato, della concorrenza che ha portato a un progresso materiale esplosivo. Siamo in una società di mercato e questo ci ha portato alla globalizzazione cui assistiamo. Ma noi stiamo governando la globalizzazione o è la globalizzazione a governarci? E’ possibile parlare di solidarietà in una società basata sulla concorrenza spietata? Fin dove arriva la nostra fratellanza? La sfida che abbiamo davanti è grandissima, colossale, e la grande crisi non è ecologica, è politica. L’essere umano non governa oggi; sono le forze che l’uomo ha scatenato a governarlo. Non veniamo al mondo per svilupparci in termini generali; veniamo al mondo per cercare di essere felici, perché la vita è breve e ci sfugge. E nessun bene vale quanto la vita, è elementare. Ma se consumo la mia vita lavorando senza sosta per consumare sempre di più, aggredisco il pianeta e per mantenere quel consumo dovrò produrre sempre di più cose che durano sempre meno”. “Siamo in un circolo vizioso, ci sentiamo costretti a mantenere una civiltà usa e getta. Questi sono problemi di carattere politico e ci stanno dicendo che bisogna iniziare a lottare per un’altra cultura”.
Mujica profeta, dunque, ma anche leader, più di moltissimi altri.
Ultima sua mossa, ai primi di dicembre, quella di spiazzare i cartelli della droga legalizzando e nazionalizzando in Uruguay la coltivazione e la vendita della marjuana. Qualcosa di eclatante che forse può rinvigorire altre e decisive azioni volte a erodere il mito perverso del consumo senza freni e l’utilizzo senza limiti delle sempre più scarse riserve del pianeta.
L’Uruguay non è certo l’America, ha tre milioni di abitanti, è uno dei paesi sud americani con storie di dittature, di persecuzioni. E prima ancora una storia ancor più tragica, quella della colonizzazione ispanica, di vessazioni, di massacri. Una piccola nazione, dunque, ma ciò che sta facendo Mujica è grande, così grande e potente che i media convenzionali ne parlano pochissimo, perché questo agire fa tremare certuni nelle altissime sfere.
Pepe Mujica era, da giovane, un convinto oppositore della dittatura; si era convertito ai tupamaros, il movimento armato che si rifaceva al leggendario Tupac Amaru, un cacique che aveva capeggiato una lunga e sanguinosa contro i conquistadores spagnoli. Mujica ha pagato, assieme a molti compagni, la sua ribellione con quattordici anni di carcere e torture.
Oggi Il suo vivere spartanamente da presidente della sua nazione gli appare cosa scontata: “Yo no soy pobre, Yo soy sobrio” usa dire d’abitudine. Una formidabile coerenza con lo stato del mondo costituito più di poveri che di ricchi. I fasti della sua carica altrove dispiegati (basti pensare all’enormità delle spese per la presidenza della Repubblica che Napolitano si ostina a voler mantenere) Mujica li ritiene un semplice e incongruo retaggio del Medio Evo. Filosofo di formazione, cita volentieri Seneca, Diogene…Diogene già, colui che ricevette Alessandro Magno e i suoi dignitari sulla soglia del suo poverissimo ricovero, pare fosse una botte. Alessandro che gli veniva promettendo tutto e di più, una personalità così grande. Al gentile rifiuto di Diogene sul presupposto che nessuno fa niente per niente, per cui lui non si sarebbe più sentito libero, Alessandro deluso rispose:
- Ma allora non possiamo proprio fare niente per te…..
- Certamente Alessandro, ero qui seduto al sole per scaldarmi un poco dal freddo della notte, basta che vi facciate un poco più in là…


Fonte : www.ilcambiamento.it


giovedì 12 dicembre 2013

Renzi, Grillo e la politica della responsabilità


Alessio Postiglione






Giornalista e politologo

Renzi, almeno al parole, segna un cambio di paradigma significativo. Dalla deresponsabilizzazione all'assunzione di responsabilità; dal dare la colpa agli altri al cercare di cambiare le cose in prima persona.
Ovviamente, siamo nella fase delle buone intenzioni e dovremo aspettare per giudicarlo.
Ad oggi, abbiamo una buona segreteria, tendenzialmente di rottura e di qualità. Non mandarini e burocrati, ma gente impegnata nel partito, senza essere partitocrati.
L'aspetto più importante della narrazione di Renzi, soprattutto se e quando diventerà azione, è coinvolgere tutto il paese in una trasformazione necessaria per rimanere o, meglio, tornare a essere, uno dei più grandi paesi del mondo: e farsi invitare nuovamente dal G8. Troppo facile, infatti, accusare, come fanno i Forconi e Grillo, gli altri e la politica, in particolare.
La politica rappresenta certamente un caso eclatante di risorse economiche non adeguatamente ottimizzate e sarebbe ingenuo ritenere che esista una maggioranza, nel ceto politico, realmente disposta a rinunziare a partecipate lottizzate dove piazzare gli amici degli amici.
Basta scoprire il nuovo inganno architettato da alcuni consigli regionali per non diminuire, anzi aumentare, i guadagni dei consiglieri, come denunciato ottimamente da Perotti.
Eppure, se il paese va a rotoli, la colpa non è solo della politica. La colpa è di tutti noi cittadini: di quanti vivono di protezioni e clientele, di furbizie e sotterfugi. 
Con Renzi la politica, forse, può cambiare. Ma, mi chiedo: siamo disponibili a cambiare anche noi?
A cambiare noi avvocati che viviamo di contenziosi gonfiati ad arte e che gravano sulla collettività?
A cambiare noi notai, tassisti e farmacisti, che scarichiamo sulla collettività i costi di una corporazione con licenze-ingresso bloccate? 
Noi commercialisti che viviamo di rendicontazione di progetti europei che esistono solo sulla carta?
Noi medici che non prescriviamo i generici ma il farmaco di chi ci manda ai convegni a Dubai?
Noi giornalisti che viviamo di finanziamenti pubblici? Noi burocrati che facciamo carriera grazie al sindacato e che difendiamo mille uffici e procedure, i cui costi gravano sulla collettività?
Noi professori che abbiamo fatto aprire università sul pizzo della montagna, solo per piazzare i nostri figliocci?
Noi imprenditori, certamente vessati da uno Stato inefficiente, ma corresponsabili quando paghiamo a nero o facciamo firmare in bianco alle lavoratrici le dimissioni in caso di gravidanza?
Insomma, troppo facile dare le colpe agli altri, quando in Italia una certa mentalità opera dal Nord al Sud e in tutti gli strati sociali. Non a caso Renzi ha puntato il dito su di un certo sindacato e sul sistema delle sovraintendenze che, fra veti e dinieghi, bloccano il paese. Perché il sindacato o la burocrazia siamo noi: è l'Italia. E' la mentalità dei nostri uffici e il sostrato della nostra idea di lavoro.
E il problema non sono i sindacati o gli uffici pubblici in sé, ma quella mentalità opportunistica che spesso ci anima e che ha nutrito quei politici fannulloni a cui ora diamo la colpa, ma a cui precedentemente abbiamo raccomandato i nostri nipoti.
Il meccanismo che innesca Grillo, invece, è l'opposto: mondare dalle proprie colpe e identificare, in modo manicheo, il male negli altri. Come se i grillini appartenessero a un'altra genia e non fossero, come diceva Nietzsche, tutti umani, troppo umani: con vizi e virtù.
Mentre il liberale, kantianamente, sa che l'Uomo è un legno storto e si predispone di buzzo buono per creare un sistema di leggi e regole che disincentivino i comportamenti egoistici, per premiare i meriti.
Per questo, sono d'accordo con Ocone, che al nostro paese serva una rivoluzione liberale, ma che sia gobettiana, a sinistra e non liberista.
Non ci serve uno spostamento a destra o invocare l'egoismo antropologico universale. Ci occorre, invece, un umanesimo della responsabilità; affinché tutti, dai politici agli operai, ragionino in quanto cittadini liberi e non asserviti a convenienze, tessere, parrocchie e caste varie.
Questo significa rottamare chi ha governato e fallito e non mandarlo a svernare a Bruxelles.
Questo significa rottamare se stessi se non si riuscirà nell'iniziativa. 
Renzi ne è consapevole?

Alessio Postiglione

Fonte : www.huffingtonpost.com

lunedì 11 novembre 2013

La favola meravigliosamente triste del nostro sindaco De Blasio


11 novembre 2013

italy




La storia del nuovo sindaco di New York, Bill De Blasio, mi riempie d'orgoglio. Come Italiano, come democratico e come meridionale. Bill è un italo-americano che è partito dal basso, da Brooklyn, e ha sempre lottato per i diritti civili; figlio di una emigrante, originaria di un piccolo paesino del Sannio, Sant'Agata de' Goti. La storia della sua famiglia dimostra che, in un un Paese che riconosce i tuoi meriti, non importa da quale profondo Sud o classe sociale o etnia tu provenga, se vali, puoi farcela.
Sono felice e orgoglioso ma anche amareggiato. Amareggiato perché resta il fatto che la madre di De Blasio è dovuta emigrare per cercare fortuna all'estero. Se fosse rimasta in Italia, con tutta probabilità, non avrebbe potuto costruire per Bill un futuro così brillante. Perché, come donna povera del Sud, non avrebbe mai avuto la possibilità di mettere a frutto i talenti del figlio.
Bill, nato in Italia, sarebbe stato un disoccupato o tutt'al più un semplice avvocato di qualche cooperativa sociale che opera nel settore dei diritti civili; senza un soldo o in attesa perenne di ricevere quei fondi che, in Italia, nel privato sociale, non arrivano mai.
Bill non appartiene ai circoli che contano: agli amici degli amici, alle lobby, alla "New York bene". Non è parte di quella aristocrazia che in America chiamano Wasp, i bianchi protestanti di origine britannica. Bill ha sposato un'altra attivista dei diritti civili, proveniente da una minoranza ancora più svantaggiata: gli africani-americani. Eppure, insieme, perché valgono, ce l'hanno fatta. Mi amareggia pensare che, in Italia, la moglie di Bill non avrebbe avuto neppure la cittadinanza.
La famiglia De Blasio non sarebbe mai nata e non sarebbero mai nati i figli Dante e Chiara, i veri artefici della campagna elettorale del padre. Dante e Chiara sono i maghi del web che, tramite Facebook e Twitter, hanno conquistato al padre tanti "follower" che sono diventate sonanti preferenze elettorali. Mi domando: quando, anche in Italia, potrà diventare sindaco il figlio di un migrante?
Ecco, mi amareggia che quello che si può fare in America, non lo possano fare, in Italia, neanche gli italiani. Per questo, è tempo di costruire veramente un Paese democratico, plurale e solidale. Un Paese che permetta a tutti di prendere l'ascensore sociale, non importa chi conosci o "a chi appartieni". Un Paese che ti premi per le tue competenze e non per le tue conoscenze. Che tu sia bianco, nero, giallo o terùn. Un Paese che dia la chance a tutti, donne e uomini, ragazzi e ragazze, ma che non si dimentichi degli anziani.Il nostro Bill ancora deve arrivare. Ma il Partito democratico che ho in mente può essere lo strumento per costruire oggi, insieme, questo futuro di opportunità.

Gianni Pittella


Fonte : www.huffingtonpost.it

mercoledì 18 settembre 2013

Quando scendevamo via Posillipo…


di  Attilio Stolder

Un giovanotto degli anni 50/60 di media borghesia (quindi di famiglia non necessariamente benestante economicamente, ma solo fortunata a essere napoletana, residente in quella zona e di valori fortunatamente radicati in una sana napoletanità, nella consapevolezza d’esser nati e vivere in luogo baciato dal Signore) di quegli anni, posillipino, nato e cresciuto in quella zona, in un periodo autunnale o meglio post vacanziero, aveva di solito un look consolidato. Un pantalone chiaro da risvolti approssimativi e non definiti – di memoria marinara -, dei mocassini spesso senza calze, un maglione a “V” soffice e leggero, quasi sempre azzurro cielo e una camicia bianca dal collo spianato, aperto. Entrambi, maglione e camicia, tirati su agli avambracci prima dei gomiti. Era un vestire calibrato alla temperatura, perché l’accenno d’autunno era costantemente fresco, ma con un ancora bel sole e la rinuncia alle calze era un voler restare legati all’estate da poco passata, al mare, a qualcosa difficilmente accantonabile. Ora quel periodo dell’anno è un rebus…può essere ancora caldissimo o di poco programmabili giornate quasi fredde. Non era così…poi cambiò come tante cose dagli anni 70/80 in avanti. Se quel giovane era come me, con reminescenze ereditarie normanne (molto presenti al Sud, anche in Sicilia) o, addirittura come nel mio caso, con un papà di lontane origini trentine pur se di famiglia trapiantata a Napoli da prima della tanto deprecata unità….bè allora quel giovane assumeva un aspetto singolare : sorriso aperto, occhio azzurro in perfetto pan dan (si dice così?) col maglione, e capello biondo ondulato, semi lungo, bruciato dal sole e dal mare d’una estate troppo precocemente trascorsa! Riuscite a immaginarlo? E uno così avendo a disposizione quella strada spettacolosa fatta di curve, palazzi e case
meravigliose alla sua sinistra e un panorama mozzafiato alla sua destra con mare, spiaggie, anfratti, giardini che scendevano appunto verso il mare, cosa poteva fare se non godersi una bella passeggiata (di mattina inoltrata o prima dell’imbrunire) scendendo da Posillipo verso Mergellina? Le ragioni potevano essere più d’una : puro “cazzeggio”, recarsi alla suddetta zona di Mergellina per sostare ai famosi chalet per il rituale d’un caffè o aperitivo, o a un Circolo tipo l’omonimo Posillipo, dove incontrare amici, tentare l’ennesimo bagno, e/o allenarsi a qualche sport legato al mare : canottaggio, nuoto, vela, pallanuoto….tutti nella tradizione napoletana, e specificatamente posillipina, ai quali erano (e lo sono ancora in parte) dediti i giovani virgulti là residenti. Pochi pullmann (così si diceva e non bus come oggi), auto manco a parlarne…quasi una rarità, e in compenso qualche lambretta o le prime vespe per i più fortunati.

In assenza di ciò il mezzo più in uso era la “pedicolare”, ovvero scendere a piedi e senza ansie. Sembra, me ne rendo conto, il quadro della bella vita, di chi ha finanze disponibili con faciltà e quindi il tutto troppo nostalgico, irreale e irriguardoso verso i meno abbienti. Ma così non era. Le ansie o le depressioni erano sintomatologie quasi sconosciute; si era ovvio in un’età dove programmare il futuro e il lavoro che avresti dovuto intraprendere, ma un senso d’ottimismo diffuso in quegli anni, il buon umore e il disincanto napoletano e per giunta d’un posillipino t’aiutavano, anzi t’indirizzavano ad esser così : le cose si sarebbero in qualche modo sistemate, vivevi in un bel posto, tutto era in crescita…meglio godersi quei giorni e quei posti! Penne di sicuro di ben altra qualità della mia, come un Raffaele Di Capria, hanno raccontato quei luoghi, quell’umore, la famosa “bella giornata” da lui magistralmente descritta, un dandysmo fatto appunto di quasi zero soldi, ma di propensione a ciò che ho sopra illustrato, pur se con una velata vena amara che solo uno scrittore di così tanto spessore può cogliere e riportare in romanzi come “Ferito a morte”. Ebbene quel mondo non c’è più, non esistono le condizioni sociali perché ci sia, poco è rimasto di quel “tutto”  se non il luogo e la sua ancora forte magìa. I nuovi ricchi arroganti e col dio denaro e le “griffe” al primo posto si sono impadroniti del posto. Il ricordo però ci è concesso, e non è solo cruda nostalgia, ma coscienza di valori e approccio alla vita, alle cose, ai luoghi, da memorizzare almeno come insegnamento, riflessione e, rivedute e corrette, possibili e praticabili riproposizioni.


Attilio  Stolder

lunedì 9 settembre 2013

Meridionalista, Solidale, e amante della Democrazia, ecco il futuro Presidente e il futuro Sindaco


Riportiamo una riflessione che riteniamo molto valida dei nostri amici del Partito del Sud Puglia coordinati dal giornalista Michele Dell'Edera :

Ecco la nuova tessera del partito del SUD
Ecco la nuova tessera del partito del SUD

Si parla molto di elezioni nazionali, ma quelle Si SSi parla molto di elezioni nazionali, ma quelle che di certo che di certo si stanno avvicinando per molte cSi parla molto di elezioni nazionali, ma quelle che di certo si stanno avvicinando per molte città e regioni, anche molto importanti, sono le elezioni amministrative.ittà e regioni, anche molto importanti, sono le elezioni amministrative.

Spesso il dibattito politico si perde attorno a questioni di schieramento, a questioni personali, a sterili dibattiti sull’agibilità politica (altro modo di dire inesistente fino a qualche mese fa) di questo o di quel personaggio politico.

La politica nazionale, quando va bene, si perde dietro a questioni macroeconomiche e di economia europea o planetaria, mentre le risposte rispetto ai problemi concreti del Paese e, a maggior ragione del Sud, restano lettera morta.

La disoccupazione giovanile e la perdita del lavoro di intere generazioni di italiani del sud, la mancanza di infrastrutture e di servizi di trasporto, un diverso trattamento nel sistema assicurativo rispetto al resto del paese e nel credito alle imprese e alle famiglie, un capacità produttiva del mezzogiorno che si assottiglia ogni giorno di più, le istituzioni che non riescono a difendere, anche qui nella migliore delle ipotesi, i cittadini dall’aggressione della criminalità organizzata, il ricatto lavoro o salute, la connivenza tra le mafie locali e alcune aziende (in maggioranza del nord) per lo sversamento di rifiuti di ogni genere, la mancanza di tutela dell’ambiente, i cittadini considerati meno di sudditi, una terra, come il sud, strategica non considerata nelle mappe dello sviluppo nazionale ed europeo, nessuna ipotesi di sviluppo verso il mediterraneo, un’informazione che continua a dipingere il sud come il peso senza il quale la nazione risorgerebbe, questi e tanti altri temi ci portano a pensare che il Sud, le sue città, le sue regioni hanno bisogno di una svolta.

Questa svolta deve nascere dal basso, da una nuova generazione di Sindaci e di Presidenti di Regione, consapevoli che il Sud ha bisogno, pur nelle diversità, di una politica comune pensata per questi territori e soprattutto di un impegno personale e politico diverso.

Immaginiamo che il prossimo Presidente di Regione, o Sindaco delle nostre città, debba essere innanzitutto “meridionalista”, convinto che il futuro dell’intero paese si costruisca partendo dalla propria terra, facendo ripartire il sud, sostenendo il nostro tessuto produttivo e promuovendo la spinta propulsiva delle nuove generazioni, facendo sistema a sud e lottando in tutte le sedi istituzionali per questo.

Debba essere solidale, ricordare le origini dei popoli del sud nati da un crogiuolo di popoli  giunti da tutto il Mediterraneo e perfettamente amalgamatisi e, proprio per questo, essere sempre pronto all’accoglienza perché consapevole della propria identità e della propria storia di meridionale.

Debba essere amante della Democrazia e rispettoso di una Costituzione non ancora del tutto applicata specialmente nella parte relativa ai diritti di tutti i cittadini italiani ovunque essi risiedano e a prescindere da dove risiedano…

I prossimi sindaci e i prossimi presidenti di regione dovranno essere uomini e donne che amano questo sud e pronti per esso a lavorare e ad agire insieme.

Dovranno essere convinti che tutto questo si può fare… perché si può fare !

Il Partito del Sud appoggerà questi sindaci e presidenti sapendo che questa nuova generazione di amministrazioni del sud non potrà essere né alleati di chi e con chi ha voluto il male del sud (leggasi Lega Nord), né collegati con altri partiti collegati in qualche modo con loro a livello nazionale.


Il Partito del Sud sarà presente alle prossime elezioni amministrative.

Fonte : Partito del Sud Puglia