ASSOCIAZIONE CULTURALE MERIDIONALISTA - PROGRESSISTA

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mercoledì 18 settembre 2013

Quando scendevamo via Posillipo…


di  Attilio Stolder

Un giovanotto degli anni 50/60 di media borghesia (quindi di famiglia non necessariamente benestante economicamente, ma solo fortunata a essere napoletana, residente in quella zona e di valori fortunatamente radicati in una sana napoletanità, nella consapevolezza d’esser nati e vivere in luogo baciato dal Signore) di quegli anni, posillipino, nato e cresciuto in quella zona, in un periodo autunnale o meglio post vacanziero, aveva di solito un look consolidato. Un pantalone chiaro da risvolti approssimativi e non definiti – di memoria marinara -, dei mocassini spesso senza calze, un maglione a “V” soffice e leggero, quasi sempre azzurro cielo e una camicia bianca dal collo spianato, aperto. Entrambi, maglione e camicia, tirati su agli avambracci prima dei gomiti. Era un vestire calibrato alla temperatura, perché l’accenno d’autunno era costantemente fresco, ma con un ancora bel sole e la rinuncia alle calze era un voler restare legati all’estate da poco passata, al mare, a qualcosa difficilmente accantonabile. Ora quel periodo dell’anno è un rebus…può essere ancora caldissimo o di poco programmabili giornate quasi fredde. Non era così…poi cambiò come tante cose dagli anni 70/80 in avanti. Se quel giovane era come me, con reminescenze ereditarie normanne (molto presenti al Sud, anche in Sicilia) o, addirittura come nel mio caso, con un papà di lontane origini trentine pur se di famiglia trapiantata a Napoli da prima della tanto deprecata unità….bè allora quel giovane assumeva un aspetto singolare : sorriso aperto, occhio azzurro in perfetto pan dan (si dice così?) col maglione, e capello biondo ondulato, semi lungo, bruciato dal sole e dal mare d’una estate troppo precocemente trascorsa! Riuscite a immaginarlo? E uno così avendo a disposizione quella strada spettacolosa fatta di curve, palazzi e case
meravigliose alla sua sinistra e un panorama mozzafiato alla sua destra con mare, spiaggie, anfratti, giardini che scendevano appunto verso il mare, cosa poteva fare se non godersi una bella passeggiata (di mattina inoltrata o prima dell’imbrunire) scendendo da Posillipo verso Mergellina? Le ragioni potevano essere più d’una : puro “cazzeggio”, recarsi alla suddetta zona di Mergellina per sostare ai famosi chalet per il rituale d’un caffè o aperitivo, o a un Circolo tipo l’omonimo Posillipo, dove incontrare amici, tentare l’ennesimo bagno, e/o allenarsi a qualche sport legato al mare : canottaggio, nuoto, vela, pallanuoto….tutti nella tradizione napoletana, e specificatamente posillipina, ai quali erano (e lo sono ancora in parte) dediti i giovani virgulti là residenti. Pochi pullmann (così si diceva e non bus come oggi), auto manco a parlarne…quasi una rarità, e in compenso qualche lambretta o le prime vespe per i più fortunati.

In assenza di ciò il mezzo più in uso era la “pedicolare”, ovvero scendere a piedi e senza ansie. Sembra, me ne rendo conto, il quadro della bella vita, di chi ha finanze disponibili con faciltà e quindi il tutto troppo nostalgico, irreale e irriguardoso verso i meno abbienti. Ma così non era. Le ansie o le depressioni erano sintomatologie quasi sconosciute; si era ovvio in un’età dove programmare il futuro e il lavoro che avresti dovuto intraprendere, ma un senso d’ottimismo diffuso in quegli anni, il buon umore e il disincanto napoletano e per giunta d’un posillipino t’aiutavano, anzi t’indirizzavano ad esser così : le cose si sarebbero in qualche modo sistemate, vivevi in un bel posto, tutto era in crescita…meglio godersi quei giorni e quei posti! Penne di sicuro di ben altra qualità della mia, come un Raffaele Di Capria, hanno raccontato quei luoghi, quell’umore, la famosa “bella giornata” da lui magistralmente descritta, un dandysmo fatto appunto di quasi zero soldi, ma di propensione a ciò che ho sopra illustrato, pur se con una velata vena amara che solo uno scrittore di così tanto spessore può cogliere e riportare in romanzi come “Ferito a morte”. Ebbene quel mondo non c’è più, non esistono le condizioni sociali perché ci sia, poco è rimasto di quel “tutto”  se non il luogo e la sua ancora forte magìa. I nuovi ricchi arroganti e col dio denaro e le “griffe” al primo posto si sono impadroniti del posto. Il ricordo però ci è concesso, e non è solo cruda nostalgia, ma coscienza di valori e approccio alla vita, alle cose, ai luoghi, da memorizzare almeno come insegnamento, riflessione e, rivedute e corrette, possibili e praticabili riproposizioni.


Attilio  Stolder

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