ASSOCIAZIONE CULTURALE MERIDIONALISTA - PROGRESSISTA

Critica - Analisi - Riflessioni - Editoria - Proposte - Politica

lunedì 30 luglio 2012

Pino Aprile


Pino Aprile (Gioia del Colle, 20 febbraio 1950) è un giornalista e scrittore italiano.

È stato vicedirettore di Oggi e direttore di Gente, ha lavorato in televisione con Sergio Zavoli nell'inchiesta a puntate Viaggio nel sud e a Tv7, settimanale di approfondimento del TG1. È autore di libri tradotti in più lingue come Elogio dell'errore ed Elogio dell'imbecille. Conclusa l'esperienza di direttore di Gente si è occupato principalmente di Vela, dirigendo il mensile Fare vela e scrivendo alcuni libri sul tema, come Il mare minore, A mari estremi e Mare, uomini, passioni. Nel marzo 2010 ha pubblicato il libro Terroni, un saggio giornalistico che descrive gli eventi che hanno penalizzato economicamente il meridione, dal Risorgimento ai giorni nostri. L'opera è divenuta un bestseller, con oltre 250.000 copie vendute. 
Per questo libro, il 29 maggio 2010, gli sono stati conferiti, fra gli altri, a Palermo il Premio Augustale, a Reggio Calabria il Rhegium Julii, ad Aliano, il Carlo Levi, ad Avezzano, il Marsica. Dal libro nasce lo spettacolo teatrale omonimo con l'attore Roberto D'Alessandro e musiche di Mimmo Cavallo.
Nell'agosto 2011 gli è stata conferita la cittadinanza onoraria di San Bartolomeo in Galdo; il 19 gennaio 2012, quella di Ponte, in provincia di Benevento, e il 1º febbraio 2012 quella di Laterza, in Provincia di Taranto.
L'11 novembre 2011, a New York (Manhattan), in coincidenza con la presentazione dell'edizione americana di Terroni, ha ricevuto il premio "Uomo ILICA 2011" (Italian Language Inter-Cultural Alliance). Nell'estate del 2012 ha iniziato un tour teatrale con uno spettacolo intitolato "Profondo Sud", da lui scritto e  recitato con le musiche e la partecipazione di Eugenio Bennato.
Terroni, è stato il volume di saggistica più venduto del 2010. Pino Aprile è diventato il giornalista “meridionalista” più seguito in Italia, un vero fenomeno che, nelle parole dei suoi lettori, “ha ridato voce e dignità al Sud”. Terroni è stato pubblicato anche in America e diffuso nelle università americane.

Opere

Elogio dell'imbecille. Gli intelligenti hanno fatto il mondo, gli stupidi ci vivono alla grande, 2002, Edizioni Piemme
Elogio dell'errore, 2003, Edizioni Piemme
Il mare minore, 2004, Magenes Editoriale
Il trionfo dell'apparenza, 2007, Edizioni Piemme
A mari estremi, 2007, Magenes Editoriale
Mare Uomini Passioni, 2007, Electa Mondadori
Terroni. Tutto quello che è stato fatto perché gli italiani del sud diventassero meridionali, 2010, Edizioni Piemme
Giù al Sud. Perché i terroni salveranno l'Italia, 2011, Edizioni Piemme

Fonte : Wilkipedia- Piemme

sabato 28 luglio 2012

Il ricordo di Pino Aprile del suo incontro con Nicola Zitara


il racconto di quell'incontro...



http://youtu.be/pQAezzfFu2M

Fonte : youtube

Erri De Luca



dal suo libro "Napòlide"



“In vita mia mi sono appassionato di rivoluzioni. I tristi fatti del 1799 a Napoli non rientrano nella specie. Si trattò invece di un cambio di regime introdotto dalle armi francesi e crollato appena quelle armi si ritirarono. Le rivoluzioni non si possono appaltare. I francesi agirono a Napoli da occupanti e da predoni :…imposero tasse a loro beneficio e portarono via un bel po’ di patrimonio artistico. Allora spendo due parole di stima per il popolo di Napoli, non plebe ma popolo, che da solo e disarmato fermò l’ingresso del più forte esercito d’Europa. Per due giorni sbarrò ogni strada e capitolò solo perché tradito dai giacobini locali che consegnarono il forte di S. Elmo ai francesi. Credo che il popolo avesse ragione a stare dalla parte dei suoi re, perché con loro erano cittadini d’una capitale europea e coi francesi diventavano provincia d’oltremare. Napoli si è mal adattata ad ogni riduzione di rango. Non ho paura di mettere anche gli italiani in fondo all’elenco degli occupanti del golfo, perché questo furono i Savoia traghettati dai Mille. Garibaldi non veniva a liberare Napoli ma a prenderla…Napoli da allora è una capitale europea abrogata, non decaduta ma soppressa…Così è andata e questa è la materia della sua ragionevole strafottenza…Se non si vede l’evidenza dell’enorme orgoglio assopito nei suoi cittadini, non si sta parlando di lei!    
                                                         
                                                                    ( Erri  De Luca)

Fonte : Napòlide di Erri De Luca


venerdì 27 luglio 2012

Nicola Zitara : il profilo



Di lui rimarrà,  soprattutto l’opera di meridionalista, di economista e di storico revisionista, qualità interconnesse, coniugate insieme in difesa della “nazione meridionale” con la tempra e la scienza dello studioso di razza. Ogni punto di vista da lui sostenuto nei numerosi saggi pubblicati è infatti suffragato da una conoscenza profonda delle leggi economiche, da una severa messa in discussione delle fonti, da una visione pluridisciplinare davvero illuminante. È così che ebbe a tradurre la cosiddetta questione meridionale nei termini del problema dei Sud del mondo.

L’economista 

Nicola Zitara è stato considerato un economista e un testimone “scomodo”, come d’altronde lo sono stati storicamente tutti coloro che hanno visto il re nudo. Non era gradita alle forze politiche, economiche e sindacali dominanti la sua analisi sulle condizioni di separatezza, di emarginazione e di sottosviluppo in cui il Meridione è stato costretto a fronte dei privilegi acquisiti dal Settentrione d’Italia a partire dall’Unità. 
Troppo distanti gl’interessi del capitalismo tosco-padano e dello stesso proletariato industriale del Nord per sovvenire alle necessità del Sud.

 Il filosofo

La sua visione economica non si è limitata all’analisi delle condizioni della lotta di classe, ma negli ultimi anni si è ampliata fino ad includere una critica al socialismo scientifico di Karl Marx, da cui ha preso le mosse tutta la sua ricerca. Dimostra chiaramente di possedere strumenti di pensiero sofisticati e, al di là della padronanza delle leggi che governano l’economia, di aver maturato una interpretazione dell’uomo e della società che affonda le sue radici nella Ideologia Tedesca  di Marx ed Engels e che legge la realtà contemporanea dominata dalla “filosofia liberal-capitalistica” nel contesto più generale di una riflessione su merce e valore di scambio. Prospetta, quindi, l’urgenza della realizzazione di un progetto politico rivoluzionario in grado di restituire l’autonomia a tutte le regioni che prima dell’Unità componevano il Regno borbonico. “Marx ha tracciato con mano impareggiabile i movimenti fisiologici delle società capitalistiche. Ma al momento di additare al proletariato la via per superare l’alienazione economica, è rimasto chiuso nella fabbrica e non ha preso in considerazione l’ipotesi di un ritorno allo scambio di equivalenti, che aveva regolato la piccola produzione mercantile. Ha invece prefigurato una società senza valori di scambio … Un mercato senza valori di scambio, una produzione pianificata per volumi, una distribuzione burocratica hanno rovinato l’URSS…”.
Zitara, quindi, propone un socialismo privatista (così da lui definito) basato sul libero produttore mercante di se stesso, sulla coincidenza del numero delle aziende con il numero dei lavoratori, su un uomo libero da padroni che collabora socialmente alla produzione. La collaborazione “costituisce il fondamento dell’economia. Ubi homo ibi societas”. Lavoro esclusivamente privato, dunque, ma con un limite: “alcuni elementi del meccanismo economico non si prestano per definizione a essere privati. Sicuramente la terra e l’ambiente, che non sono prodotti ma fattori della produzione…
La base giuridica del contratto di società non sarà più il capitale ma il lavoro. Niente di stratosferico, è una cosa che in qualche modo esiste già e si chiama cooperazione o autogestione”. Infine amplia a livello planetario le conseguenze di questa sua visione filosofica e prefigura una costituzione socialista del mercato mondiale e un nuovo diritto internazionale che garantisca la libertà economica delle nazioni e l’autonomia delle scelte nazionali.
Un pensiero grande il suo, che intende elevare al massimo grado di nobiltà la funzione sociale del lavoro, liberare l’umanità dai ceppi della dipendenza e che, infine, non smentisce il più autentico pensiero socialista.

Lo storico

Lo studio della storia oltre che dell’economia fu costante e severo. D’altronde i due aspetti in lui si compenetrano fino a confondersi.
Soleva quindi ricordare i primati italiani conseguiti dal regno borbonico in molti campi e la totale mancanza di disoccupazione.

Ripensò la tremenda vicenda del brigantaggio postunitario come un atto di eroismo contro un invasore spergiuro e più rapace e dispotico di quanto lo fossero stati i Borbone. Donde la sua conclusione: se i cosiddetti briganti non fossero stati piegati da un esercito di oltre centomila piemontesi, oggi sarebbero celebrati come eroi della nazione meridionale. Poiché hanno perso, nei libri di storia sono citati come briganti e assassini.
Ma ciò che maggiormente lo incuriosì e lo agitò nei suoi sonni fino alla fine furono i meccanismi finanziari attraverso cui il Sud ricchissimo di risorse fu spogliato finanziariamente dal Nord.

Fonte : Carlo Beneduci



Potremmo aggiungere noi che gli fummo amici rispettosi e intrattenemmo con lui un rapporto epistolare :

prefigurò la creazione d'un Movimento Separatista, a cui demmo per stima quella che lui ci riconobbe come “la prima adesione”, a conforto delle sue tesi. Negli ultimi 2 anni di vita però valutò seriamente la possibilità che il Sud fosse rappresentato politicamente nell'attuale scenario parlamentare e invitò a trovare gli accordi più dignitosi e le possibilità meno compromissorie perché ciò si realizzasse.


Quando sapemmo della sua scomparsa scrivemmo :

“Giù il cappello signori, onore a un mito!”


Andrea Balìa




Nicola Zitara



Nasce a Siderno il 16 luglio 1927 da Vincenzo, oriundo amalfitano, e da Grazia Spadaro, di famiglia siciliana. 
Compie gli studi classici senza infamia e senza lode a Locri. 

Nel 1944, con Oreste Sorace e Fausto Calderazzo, fonda la sezione del Movimento Giovanile Socialista. 

Dal 1945 studia giurisprudenza a Napoli, dove lavora politicamente accanto a Sandro Pertini. 

Si trasferisce a Modena nell’ottobre 1948 per fare un esperienza da cooperativista. 

(Foto (1984x1488) scattata, nell'estate del 2005, a pochi metri di uno degli altoforni della fonderia di Mongiana)

Dopo la laurea e una breve esperienza da praticante avvocato, lavora per molti anni nell’azienda commerciale del padre. 

Sul finire degli Anni Cinquanta si trasferisce a Cremona quale insegnante di diritto ed economia.

Rientra a Siderno nel 1961, dopo la morte del padre.

Nel 1962, avvia una piccola fabbrica di mobili. L’iniziativa si rivela negativa sia sul piano tecnico sia sul piano commerciale e viene chiusa dopo appena tre anni.

Dal 1961 al 1967 è vicedirettore del Gazzettino del Jonio.

Nel 1968 assume la guida di Quaderni Calabresi, una pubblicazione che desta interesse a livello nazionale e internazionale specialmente nel corso della Rivolta di Reggio.

Nel 1969 riprende l’attività di insegnante a Vibo Valentia. La lascia nel 1977, per assumere il posto di bibliotecario nella Biblioteca Comunale di Siderno. 

Fu ideatore e direttore di FORA...
(la rivista elettronica su www.eleaml.org)
dal 2000 al 2010

Pubblicazioni:

L’unità d’Italia, nascita di una colonia, Milano 1971, cui seguono altre quattro edizioni. 
Il proletariato esterno, Milano 1972 
Con altri autori, Le ragioni della mafia, Milano 1979 
Memorie di quand’ero italiano, Siderno 1994 
Tutta l’égalité, Siderno 1998 
Negare la negazione, Reggio Calabria 2002 
‘O sorece morto, Siderno 2005
L’invenzione del Mezzogiorno (Una storia finanziaria) Siderno 2010
Inoltre, nel corso di un quarantennio, ha pubblicato parecchie decine di saggi storici, economici e politici, nonché migliaia di articoli giornalistici. 
_________________

Nicola Zitara ci ha lasciato nel tardo pomeriggio del 1° ottobre 2010.

Fonte : www.eleaml.org


mercoledì 25 luglio 2012

L’esperimento di Worgl


Nel 1932 Worgl, ridente cittadina tirolese di 4.000 abitanti, si ritrovò schiacciata da una pesante deflazione dovuta alla stretta creditizia varata dalla Banca Nazionale Austriaca. Da 1.100 milioni di scellini di denaro circolante, si scese a 900 milioni circa, mettendo così in ginocchio l'economia. Circa 1500 abitanti, cioò oltre il 35% della popolazione, si trovarono in breve disoccupati.

Il sindaco, Michael Unterguggenberger, meccanico ed ex-ferroviere, valutata la situazione dichiarò che: “La lenta circolazione  del denaro è la ragione principale della paralisi economica che stiamo vivendo. La ricchezza scappa cada sempre più rapidamente dalle mani di coloro che la producono, per infilarsi nei canali generatori di interssi accumulandosi nelle mani di quelle poche persone che lungi dal restituirla ai mercati reali, la accaparrano tesaurizzandola come strumento di speculazione”.

Dopo un accurato lavoro locale di preparazione presso imprenditori, commercianti, banca e abitanti, egli fece allora stampare 32.000 scellini sotto forma di Bestatigter Arbeitswerte, titoli cartacei, qualificati non come denaro ma come certificati di valore di lavoro. I tagli di questi certificati erano da uno, cinque e dieci scellini e scadevano dopo un mese; il possessore poteva però prorogarli applicandovi, a proprie spese, una marca acquistabile in Comune e avente un costo pari all’1% mensile (ossia il 12% annuo) del valore facciale. L'emissione era «coperta» alla pari: una somma uguale di veri scellini era depositata dal Comune nella locale banca di risparmio. I detentori delle «banconote di lavoro» (moneta deperibile) avrebbe potuto presentarle all'incasso in ogni momento e riscuotere così l’equivalente valore in scellini di corso.

Venne inoltre stabilito che, per questa specifica operazione, la banca avrebbe riscosso un «aggio di servizio» del 2 %. Allo stesso tempo questi certificati potevano essere depositati in banca alla pari (riconoscendo ai titolari del deposito un credito pari al valore facciale) ma non fruttavano interessi; la banca veniva anch’essa assoggettata a pagare una tassa “di parcheggio”, essendo così incentivata a prestarli. Poiché il costo di detenzione della moneta deperibile, 1%, era solo la metà del costo del suo cambio in scellini, di fatto nessuno portò mai all'incasso la nuova moneta.

Tutti gli impiegati del Comune, compreso il sindaco, dal luglio 1932 cominciarono a ricevere metà del loro stipendio in moneta deperibile. Questi certificati cambiano mano mediamente circa 36 volte al mese, sviluppando, nei 14 mesi dell’esperimento un volume di affari 2.5 milioni di scellini, mentre il denaro “buono” retrocedette a circa soli 5 passaggi di mano mensili. Il comune, accettandoli in pagamento delle imposte e servizi, li rinvestiva immediatamente in opere pubbliche, dando lavoro a molti disoccupati. Vennero in tal modo costruiti un ponte sull’Inn, quattro strade, rimodernate le fognature, ampliata la rete idrica.

A Worgl si lavorava sodo e a pieno regime, si viveva decorosamente, i prezzi erano stabili, il benessere aumentava. L’esperimento, che funzionava molto bene, destò l’attenzione dei paesi limitrofi, i quali copiarono l’esperienza. Il comune di Kitzbuhel, oltre ad accettare i buoni di Worgl, emise 3000 scellini di suoi certificati, e i 300.000 tirolesi circostanti cominciarono a interessarsi a questo modello.

Tutto ebbe fine per l’intervento della Banca Centrale austriaca i cui funzionari arrivarono a Worgl nell’agosto del 1933 per sospendere l’esperimento, giudicato illegale in base all’art. 122 della Costituzione Austriaca di allora, che riservava alla Banca Nazionale il diritto esclusivo di signoria. Venne emanato un ordine governativo che stabiliva il ritiro dei certificati entro il 15 settembre 1933. Il borgomastro fece ricorso alla Corte Suprema di Giustizia, riuscendo a guadagnare un altro bimestre, ma il 15 novembre dello stesso anno la Corte depositava la sua sentenza, rigettando l’appello e archiviando l’esperimento.
Questo eccezionale esperimento suscitò interesse e scalpore. Il presidente del governo francese Daladier si rese a Worgl in visita. Ovviamente se ne parlò molto nel circondario e la notizia giunse finanche in Svizzera dove il 24 maggio 1933 a Winterthur il coraggioso borgomastro di Worgl Unterguggenberger tenne un’affollatissima conferenza alla presenza di oltre mille persone, conferenza che non fu possibile ripetere, come era stato programmato, a Ginevra farlo perché al borgomastro venne ritirato il passaporto per carico pendente.

Poco dopo la proibizione del denaro libero Unterguggenberger ricapitolò la sua esperienza con le seguenti parole: “ . . . che qui si sia inteso cancellarmi dalla storia, questo lo avevo previsto! Ad ogni modo sono riuscito a mandare al mondo un segnale su ciò che è possibile fare. Il mondo e io lo abbiamo dimostrato! Questa nuova coscienza deve adesso maturare lentamente nel pensiero degli uomini. Non dimentichiamo che, all’inizio, si tentò di impedire anche l’introduzione della ferrovia”.

Giovanni Cutolo

martedì 17 luglio 2012

GUIDO DORSO



« No, il Mezzogiorno non ha bisogno di carità, ma di giustizia; non chiede aiuto, ma libertà. Se il mezzogiorno non distruggerà le cause della sua inferiorità da se stesso, con la sua libera iniziativa e seguendo l'esempio dei suoi figli migliori, tutto sarà inutile... »

(La Rivoluzione Meridionale)


Guido Dorso (Avellino, 30 maggio 1892 – Avellino, 5 gennaio 1947)
è stato un politico,meridionalista ed antifascista italiano.

Le origini
La sua famiglia apparteneva a quella piccola borghesia legata al mondo impiegatizio che, ormai, non credeva più nell'unificazione nazionale e nei benefici che avrebbe potuto ricavarvi.
Si laureò in giurisprudenza nel maggio del 1915 con una tesi di laurea dal titolo "La politica ecclesiastica di Pasquale Stanislao Mancini".


L'esordio nella vita politica
Nel 1919  Dorso comincia la pubblicazione del settimanale "Irpinia Democratica", di cui vedono la luce però solo i primi quattro numeri, finché nel 1923, Dorso non diventa direttore del settimanale "Corriere dell'Irpinia"
Dalle pagine di quest'ultimo, Dorso contesta duramente il Fascismo, ed i suoi articoli suscitano l'interesse di Piero Gobetti, che nel giugno del 1923 lo invita a collaborare alla sua rivista “La Rivoluzione Liberale”. Delle riflessioni partorite durante questa fase, è frutto il suo più celebre saggio "La rivoluzione meridionale" nel quale Dorso auspicava per il meridione, la nascita di una nuova classe dirigente di severo rigore morale. Per la nascita dei cosiddetti "Gruppi Liberali", che dovevano rappresentare un momento di aggregazione politica del giornale torinese, Dorso ebbe l'incarico di scriverne l'articolo programmatico curando una nuova rubrica dal titolo "Vita meridionale" e da cui nacque un breve saggio, l' "Appello ai meridionali".
A partire dal 1925, in seguito alla promulgazione delle "leggi eccezionali", Dorso si ritira dalla vita pubblica, cercando il più possibile di non essere coinvolto in problemi a carattere politico, così come era avvenuto ad altri noti intellettuali dell'epoca avversi al regime.
Con la caduta del regime fascista nel 1943, Dorso torna all'attivismo politico intervenendo con una quindicina di articoli su diversi giornali.
Successivamente si iscrive al Partito d'Azione, riprendendo con nuovo vigore l'idea della necessità della formazione della nuova classe dirigente meridionale, in grado di sostituirsi ad uno Stato burocratico accentratore temporaneamente in crisi. Di questi anni è la memorabile "Relazione sulla questione meridionale", pronunciata a Cosenza il 6 agosto 1944, durante il primo Congresso del Partito d'Azione.

Il dissenso 
Nel dicembre del 1945 si dimette dal Partito d'Azione in seguito alla constatazione del venir meno dell'impegno meridionalistico. Alle prime elezioni della neonata Repubblica Italiana, il 2 giugno 1946, si presenta a capo di una lista di Alleanza Repubblicana, la quale include molti dei meridionalisti campani e pugliesi, ma che non ottiene un numero sufficiente di voti l'ingresso in parlamento.

La fine
Il 5 Gennaio 1947 ad Avellino muore a causa di uno scompenso cardiaco.


Fonte : Wilkipedia


sabato 14 luglio 2012

La Questione Meridionale


Storiografia del problema 

L'interpretazione della Questione meridionale ha vissuto profonde evoluzioni nel tempo. Originalmente il dibattito era fortemente influenzato dalla censura e propaganda della corona sabauda, preoccupata di legittimare la conquista, l'annessione e lo sfruttamento del sud. Tale censura ha impedito che pervenissero fino ad oggi documenti attendibili su molti aspetti, come il numero di vittime della repressione. Anche dopo la fine del regno i dati storiografici disponibili impedirono una corretta lettura degli eventi. Solo recentemente nuovi studi hanno messo in causa la visione classica della vicenda, e certi fatti, come lo stato economico del Regno delle Due Sicilie o il brigantaggio hanno preso un'altra dimensione. Oggigiorno tesi come l'inferiorità genetica delle popolazioni del sud Italia, una volta abbastanza consensuali, non sono più accettate accademicamente. Al contrario negli ultimi anni finalmente delle ricerche economiche ci aiutano a stabilire scientificamente (con l'ausilio di disparati indicatori e dati economici) esattamente la nascita della questione meridionale, cioè nella parte finale dell' '800, dopo l'Unità d'Italia..
Si possono comunque distinguere tre approcci storiografici principali, che ricalcano in grosse linee dibattiti ideologici e politici più ampi:
La storiografia classica, così chiamata perché nata prima, tende a vedere l'arretratezza del Mezzogiorno come segno di un'evoluzione atipica o ritardata, dove altre condizioni avrebbero permesso alla regione di inserirsi con successo in una dinamica di crescita e di integrazione.
La storiografia moderna, così chiamata perché proposta a partire da Gramsci e Salvemini, vede il persistere della miseria come una componente essenziale del capitalismo, che è basato sulle dualità sfruttatore - sfruttato, sviluppo - sottosviluppo, anche su base geografica.
L'interpretazione deterministica, che vede nella demografia (attraverso tesi razziste) o nella geografia del sud le origini, spesso insormontabili, della povertà nella quale si trova il Meridione.
Molti letterati anche tra quelli già citati come Gramsci e Giustino Fortunato riscontrarono pubblicamente la presenza di una vera e propria questione meridionale ma affermarono, altrettanto pubblicamente anche se poco o per nulla diffuso, che essa era dovuta alla disparità di trattamento tra Italia del nord e Italia del Sud, quest'ultima sfruttata fino all'inverosimile tanto che buona parte dei suoi figli emigrarono lasciando la propria terra per cercare fortuna all'estero.
Gaetano Salvemini (1873 - 1957), storico e politico socialista concentrò le sue analisi sugli svantaggi che il sud aveva ereditato dalla storia, criticò aspramente la gestione centralizzata del paese, e indicò come necessaria l'alleanza degli operai del nord con i contadini del sud. Tuttavia lo sfruttamento sistematico del Mezzogiorno da parte del capitale settentrionale e l'adozione di una legislatura statale particolarmente penalizzante per il Sud era stata resa possibile, secondo Salvemini, dalla complicità dei grandi proprietari terrieri meridionali e dai loro alleati, i piccoli borghesi locali.
Antonio Gramsci (1891 - 1937), noto pensatore marxista, lesse il ritardo del sud attraverso il prisma della lotta di classe. Studiò i meccanismi in corso nelle rivolte contadine dalla fine dell'Ottocento fino agli anni venti, spiegò come la classe operaia fosse stata divisa dai braccianti agricoli attraverso misure protezionistiche prese sotto il fascismo, e come lo stato avesse artificialmente inventato una classe media nel sud attraverso l'impiego pubblico. Auspicava la maturazione politica dei contadini attraverso l'abbandono della rivolta fine a se stessa per assumere una posizione rivendicativa e propositiva, e sperava una svolta più radicale da parte dei proletari urbani che dovevano includere le campagne nelle loro lotte.
Guido Dorso (1892 - 1947) fu un intellettuale che rivendicò la dignità della cultura meridionale, denunciando i torti commessi dal nord ed in particolare dai partiti politici. Effettuò esaurienti studi sull'evoluzione dell'economia del Mezzogiorno dall'Unità fino agli anni trenta e difese la necessità dell'emergenza di una classe dirigente locale.

Fonte : Google

venerdì 13 luglio 2012

Antonio Gramsci, la vita, le origini, il processo, la fine...



" Non ho mai voluto mutare le mie opinioni, per le quali sarei disposto a dare la vita e non solo a stare in prigione...vorrei consolarti di questo dispiacere che ti ho dato : ma non potevo fare diversamente. La vita è così, molto dura, e i figli qualche volta devono dare dei grandi dolori alle loro mamme, se vogliono conservare il loro onore e la loro dignità di uomini"

(Antonio Gramsci, lettera alla madre, 10 Maggio 1928)


Antonio Gramsci  ( Ales, 22 Gennaio 1891 - Roma, 27 Aprile 1937)

è stato un politico,filosofo, giornalista, linguista e critico letterario italiano.
Nel 1921 fu tra i fondatori del Partito Comunista d'Italia e nel 1926 venne incarcerato dal regime fascista. Nel 1934, in seguito al grave deterioramento delle sue condizioni di salute, ottenne la libertà condizionata e fu ricoverato in clinica, dove passò gli ultimi anni di vita.
I suoi scritti – nei quali studiò e analizzò la struttura culturale e politica della società – sono considerati tra i più originali della tradizione filosofica marxista. Uno dei suoi contributi principali fu il concetto di egemonia culturale, secondo il quale le classi dominanti impongono i propri valori politici, intellettuali e morali a tutta la società, con l'obiettivo di saldare e gestire il potere intorno a un senso comune condiviso.

Origini familiari
Gli antenati di Antonio Gramsci erano originari della città albanese di Gramsh, e potrebbero essere giunti in Italia fin dal XVI secolo, durante la diaspora albanese causata dall'invasione turca. Documenti d'archivio attestano che nel Settecento il trisavolo Gennaro Gramsci, sposato con Domenica Blajotta, possedeva a Plataci, comunità albanese del distretto di Castrovillari, delle terre poi ereditate da Nicola Gramsci (1769-1824). Questi sposò Maria Francesca Fabbricatore, e dal loro matrimonio nacque a Plataci Gennaro Gramsci (1812-1873), che intraprese la carriera militare nella gendarmeria del Regno di Napoli e, quando era di stanza a Gaeta, sposò Teresa Gonzales, figlia di un insigne avvocato napoletano. Il loro secondo figlio fu Francesco (1860-1937), il padre di Antonio Gramsci.

Deputato al Parlamento
Alle elezioni del 6 aprile 1924 venne eletto deputato al parlamento, potendo così rientrare a Roma, protetto dall'immunità parlamentare, il 12 maggio 1924.
Elaborando temi già affrontati nelle Tesi di Lione, nel settembre 1926 Gramsci iniziò a scrivere un saggio sulla questione meridionale, intitolato Alcuni temi sulla questione meridionale.

L'arresto e il processo
Il 5 novembre 1926 il governo sciolse i partiti politici di opposizione e soppresse la libertà di stampa. L'8 novembre, in violazione dell'immunità parlamentare, Gramsci venne arrestato nella sua casa e rinchiuso nel carcere di Regina Coeli. Dopo un periodo di confino a Ustica, dove ritrovò, tra gli altri, Bordiga, il 7 febbraio 1927 fu detenuto nel carcere milanese di San Vittore.
Gramsci è accusato di attività cospirativa, istigazione alla guerra civile, apologia di reato e incitamento all'odio di classe.
Il pubblico ministero Isgrò concluse la sua requisitoria con una frase rimasta famosa: «Per vent'anni dobbiamo impedire a questo cervello di funzionare»; e infatti Gramsci, il 4 giugno, venne condannato a venti anni, quattro mesi e cinque giorni di reclusione; il 19 luglio raggiunse il carcere di Turi, in provincia di Bari.
L'8 febbraio 1929, nel carcere di Turi, il detenuto 7.047 ottenne finalmente l'occorrente per scrivere e iniziò la stesura dei suoi «Quaderni del carcere».

La fine
Quando la madre morì, il 30 dicembre 1932, i famigliari preferirono non informarlo; il 7 marzo1933 ebbe una seconda grave crisi, con allucinazioni e deliri. Si riprese a fatica, senza farsi illusioni sul suo immediato futuro: «Fino a qualche tempo fa io ero, per così dire, pessimista con l'intelligenza e ottimista con la volontà [...] Oggi non penso più così. Ciò non vuol dire che abbia deciso di arrendermi, per così dire. Ma significa che non vedo più nessuna uscita concreta e non posso più contare su nessuna riserva di forze».
Eppure lo stesso codice penale dell'epoca, all'art. 176, prevedeva la concessione della libertà condizionata ai carcerati in gravi condizioni di salute. A Parigi si costituì un comitato, di cui fecero parte, fra gli altri, Romain Rolland e Henri Barbusse, per ottenere la liberazione sua e di altri detenuti politici, ma solo il 19 novembre Gramsci venne trasferito nell'infermeria del carcere di Civitavecchia e poi, il 7 dicembre, nella clinica del dottor Cusumano a Formia, sorvegliato in camera e all'esterno. Il 25 ottobre 1934 Mussolini accolse finalmente la richiesta di libertà condizionata, ma Gramsci non rimase libero nei suoi movimenti, tanto che gli fu impedito di andare a curarsi altrove, perché il governo temeva una sua fuga all'estero; solo il 24 agosto 1935 poté essere trasferito nella clinica "Quisisana" di Roma. Vi giunse in gravi condizioni: oltre al morbo di Pott e all'arteriosclerosi, soffriva di ipertensione e di gotta.
Il 21 aprile 1937 Gramsci passò dalla libertà condizionata alla piena libertà, ma era ormai in gravissime condizioni: morì all'alba del 27 aprile, a quarantasei anni, di emorragia cerebrale, nella stessa clinica Quisisana. Cremato, il giorno seguente si svolsero i funerali, cui parteciparono soltanto il fratello Carlo e la cognata Tatiana: le ceneri, inumate nel cimitero del Verano, furono trasferite, dopo la Liberazione, nel Cimitero acattolico di Roma.

Fonte : Wilkipedia

martedì 10 luglio 2012

Antonio Gramsci - Aforismi e Frasi Famose


Aforismi e Frasi Famose di personaggi politici 
Politico, Filosofo, Giornalista Italiano
(1891 - 1937)

Agitatevi, perché avremo bisogno di tutto il vostro entusiasmo. Organizzatevi, perché avremo bisogno di tutta la vostra forza. Studiate, perché avremo bisogno di tutta la vostra intelligenza.
***
Il tempo è la cosa più importante: esso è un semplice pseudonimo della vita stessa.
***
Vivo, sono partigiano. Perciò odio chi non parteggia, odio gli indifferenti.
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L'illusione è la gramigna più tenace della coscienza collettiva: la storia insegna, ma non ha scolari.
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Lo Stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l'Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono d'infamare col marchio di briganti.
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La maggior parte degli uomini sono filosofi in quanto operano praticamente e nel loro pratico operare è contenuta implicitamente una concezione del mondo, una filosofia.
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Ogni movimento rivoluzionario è romantico per definizione.
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La verità è sempre rivoluzionaria.
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Quante volte mi sono domandato se legarsi ad una massa era possibile quando non si era mai voluto bene a nessuno.
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In principio era il verbo. No, in principio era il sesso.
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Sono un pessimista a causa dell'intelligenza, ma un ottimista per diritto.
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Il mio atteggiamento deriva dal sapere che a battere la testa contro il muro è la testa a rompersi e non il muro.
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Odio gli indifferenti. Credo che vivere voglia dire essere partigiani. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano. L’indifferenza è abulia, è parassitismo, è vigliaccheria, non è vita.
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Occorre persuadere molta gente che anche lo studio è un mestiere, e molto faticoso, con un suo speciale tirocinio, oltre che intellettuale, anche muscolare-nervoso: è un processo di adattamento, è un abito acquisito con lo sforzo, la noia e anche la sofferenza.
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Dato che dobbiamo costruire il Paese, costruiamo repertori, enciclopedie, dizionari.
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Fonte : aforismicelebri.blogspot.it