Bruno Pappalardo
Caro Michelangelo,
ho saputo che sei stato qui, a Napoli. Ho saputo che sei stato qui perché fuggivi da Roma per via d’un certo Tomassoni morto per mano tua in quel maledetto 28 maggio.
Mentre eri qui, mancavo, accidenti!
Ti scrivo per sapere delle tue opere napoletane e se hanno subìto ( il temine è illogico perché nessuna opera subisce che non sia la sola volontà e pennello dell’autore) beh, allora vada per “ ricevuto” un qualsiasi influsso sulla qualità se vuoi tecnica o cognitiva dei tuoi telari.
Ne son certo! Avevo visto a Roma già tanti dei tuoi lavori ma ho notato su quei pochi eseguiti nel tuo breve soggiorno in città una apparentemente piccola, pure, se vorrai, invisibile differenza. Ma mi spiego…
Già vedo in giro, qui a Napoli, scene su teli che assomigliano alle tue.
La tua luce, il tuo travolgente contrasto tra le cose, corpi manti, vesti, laghetti, frutta marcia, penetrato insomma nella realtà. E’ così forte che la carne dei tuoi santi e martiri, dei tuoi uomini della strada e di corpi nei bordelli da ci hai tratto i modelli per le sante e madonne, salta prodigiosamente luminoso per diventar cruda e feroce da ridare valore all’ “analitica” di Aristotele, ossia quel tuo reale è un linguaggio che induce immediatamente a conoscere.
Conoscere quel frammento appartenente all’universo nella susseguente domanda: “ma chi volle tanta chiarezza?”
Dunque il chiaro del pensiero, della ricerca e della stessa luce.
Questa però s’affaccia dal fondo nero del vuoto per cui essa si fa cose e forme umane e sembrano che s’avviano verso di noi uscendo dal buio di un angolo di stanza, d’un porticato senza lampada o dal tetro scuro della nostra mente. Ecco che il chiarore e movimento diventa dinamica delle forme e la mente l’officina.
Dicono che facevi filtrare un raggio di luce da una finestrella, semmai in alto dello stanzone, per predisporre la lotta tra il nero ed il chiaro, il pieno e il vuoto, il rosso contro il verde e il verde col giallo oro; contrasti non sfumature, alcun manieristico chiaroscuro!
Si vede sempre, dunque, che la luce giunge da una sola direzione, talvolta è a destra, poi a manca, in alto e poi in basso e pure di lato. Una fonte di luce, sole o lampada esterna al quadro, pare costruisca il corpo, nel più naturale modo e prepotente vero possibile. Rare volte si diffonde nello spazio del tuo telaro e par non sia opra tua.
Ma a Napoli come hai potuto agire? Se da un pertugio passa luce, s’illumina il sottoscala che s’arieggia pure come. Come hai fatto? …
…E già che tu stesso hai mosso la terra intorno al sole e non il contrario da cui era più agevole ricavar spiragli! Nelle “Le Sette Opere di Misericordia” questo è evidente.
Le figurazioni, le ali avvolgenti, il bambino sono macchie e null’altro! Sembra che siano pere poggiate su un panno bruno. Nelle altre tue tele la luce e le forme si conformano in un unicum che vien meno nella “Misericordia”, anzi direi Nulla! No, non sei stato molto a Napoli e non solo per le tue necessità ma perché non resistevi alla LUCE.
Qui ci sono riflessi impetuosi, luci radenti sulle acque e sui basoli. (vasoli) Ci sono bagliori incerti d’inverno ma faville d’estate che sembrano aringhe d’argento saltando sull’acqua che lottano con le tue dita per non lasciarsi afferrare, le nuvole sono soleggianti. Nei cortili invece l’ombra triangolare negli angoli irrompe come delle geometrie azzurre che taglia il butirroso corpo della luce che penetra sotto le vesti delle donne.
Non si può dipingere facilmente a Napoli.
Perché manca il tuo oggettivismo del bacchino malato o della foglia bacata del “Canestra di frutta ? ”.
Capisco eri spiazzato, smarrito!
Mia madre vedeva spesso delle lumache passeggiare sulle riggiole della cucina. Si chiedeva: “…ma saranno felici? ”.
Sei stato l’artefice, autore e attore del realismo moderno. Hai insegnato al mondo il vibrante fascino del bello nell’increspata pelle della fronte e delle braccia di “San Gerolamo scrivente” ma anche la sua dolenza e afflizione. Il faro acceso era sulla sinistra, di sbieco, per accentuare, forse, i due fori delle arcate oculari del cranio, metafora della morte e della vita perché accostato al libro, conoscenza, dunque, futuro. Quella conoscenza che offese i Papi che confutarono Copernico che tu hai sempre amato. Lo preferivi a Tolomeo. Due mondi due conoscenze ma il primo nel vero il secondo nell’arcaico oscurantismo clericale e anassimandreo, voleva la terra (l’uomo) al centro del cosmo. Il sole rotante in orbita d’intorno.
Forse, per questo Napoli non ti è piaciuta! Perché qui il sole gira ancora all’incontrario e, talvolta, sembra veloce quando le sue proiezioni sui vani dei bassi svelano improvvise la fame nelle lenzuola lorde. Solo all’incontrario, a Napoli, si svelano le fessure profonde sulle pareti e nelle anime nostre.
Se fossi faro lucente e percorressi un vicolo, m’apparirebbero, in ogni basso aperto tanti quadri tuoi
Peccato!
Spero di rivederti,… si ciarlerà di questo e di quello e si potrà confutare.
Un tuo ammiratore
Bruno Pappalardo
Napoli, 22.08. 2012
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