Alessio Postiglione
Giornalista e politologo
Il M5S ci Lega. L'ultimo Vaffa-day dimostra che Grillo e Casaleggio stanno puntando anche a quel bacino elettorale che fino a poco tempo fa votava per il Carroccio.
Con la proposta dei dazi, lanciata a Genova, l'obiettivo è vellicare quel popolo delle partite Iva, quel capitalismo molecolare, spaventato dai grandi processi di globalizzazione, e da proteggere con sovranismo monetario, con il ritorno a una moneta debole e con il neoprotezionismo. Per conquistare quella fetta di elettorato che in passato si è affidato alle suggestioni di Miglio e Bossi.
Ma l'offerta grillina è ancora più allettante. Perché capace di stuzzicare anche quella sinistra anticapitalista che, orfana delle varie rifondazioni comuniste, si inebria con i teorici della decrescita felice e gongola per gli attacchi pentastellati alle oligarchie finanziarie targateBce.
Il partito di Bossi, infatti, era riuscito anche a farsi scegliere da quel proletariato che fino ad allora aveva votato a sinistra. Conquistò, cioè, il voto di chi più degli altri pagava i costi sociali della globalizzazione degli anni Novanta.
Eppure il Carroccio era e restava un partito di destra. Dunque, la sua capacità di erodere il consenso della sinistra doveva forzatamente fermarsi a un certo punto.
Il M5S, invece, riesce con più intelligenza a velare la sua natura reazionaria nascondendosi dietro la foglia di fico del modernismo web e delle nuove tecnologie. Per questo, convince sempre più elettori di non essere "né di destra né di sinistra", come ripete compulsivamente Beppe Grillo. Una scelta buona per tutti: per l'ex balilla come per il geek informatico con il poster di Che Guevara in cameretta.
Partiamo da questo assunto. Chi dice di non essere né di destra né di sinistra è sempre di destra, e pure estrema. Si tratta di un motto coniato dal collaborazionista filonazista Jacques Doriot e, in effetti, per capire la capacità di una certa destra di mobilitare sia i ceti medi impauriti dalla globalizzazione che gli strati popolari, bisogna tornare proprio a quei movimenti fascistoidi della Terza Repubblica francese.
Allorquando si forma ciò che Zeev Sternhell chiama "destra radicale": quel mix di difesa patologica della nazione da non ben precisate minacce esterne, rifiuto del parlamentarismo e pianificazione socialisteggiante dell'economia, che prenderà la forma di planismo e corporativismo. Si tratta di quell'humus culturale che ci rivela perché Mussolini fosse un ex socialista e che oggi si declina, nel grillismo, nelle ossessioni per la concorrenza sleale dei cinesi, vero cavallo di battaglia leghista, e per l'influenza della finanza senza volto sulla Bce.
Insomma, gli estremi si toccano, e questo bagaglio populistico permette a Grillo di acchiappare i voti a destra e manca. La retorica anti-finanziaria e delle cospirazioniTrilateral e Bildenberg funziona, e molti elettori perdonano al M5S anche le posizioni apertamente razziste e anti-migranti.
Mentre la Lega rappresentava la destra radicale tradizionalista, quella che sognava una Padania ancestrale e celtica di biondi Odino che si mondavano nelle acque rituali del Po, il M5S si richiama a una destra futurista: ora, il moderno è declinato attraverso il primato della Rete. E, proprio come la destra futurista italiana, Grillo riesce ad avere successo fra molte persone provenienti dalla sinistra radicale.
Ora, legittimamente, un elettorale di sinistra, operaio o piccolo imprenditore, potrebbe chiedermi: al di là delle etichette, l'unico che mi difende dal mercato è Grillo; perché dovrei votare per una sinistra europeista che favorisce processi di globalizzazione di cui io pago i costi sociali?
La risposta è proprio nella boutade dei dazi che Grillo ci offerto in occasione del VDay.
Uno stato corporativista e protezionista senza sindacati - perché, ricordiamocelo, Grillo vuole abolire anche i sindacati -, risolve la crisi del liberalismo e del mercato unico europeo "da destra".
Proprio attraverso la compressione dei diritti di quei lavoratori che vorrebbe rappresentare e unificando Stato e mercato in un apparato che, invece di mediare fra gli interessi, fa gli interessi di un ceto imprenditoriale decotto, che sarebbe spazzato via dall'innovazione se non non fosse protetto dal mercantilismo. E' questa la rivoluzione che sognano i pentastellati?
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